#perchèSanremoèSanremo
“all’improvviso viene voglia di cantare“ recitava la sigla del Festival di baudiana memoria (composta da Pippo Caruso).
Questo è Sanremo.
Un momento (a tappe), una settimana in cui l’Italia che lo segue (anche di nascosto o di traverso) parla e canta, scordandosi per un po’ di problemi e alleggerendosi un po’.
La settimana “santa” del Festival (come piace chiamarla a chi come me ne è travolto) la si aspetta tutto l’anno ed è magica.
Ci sono state nel passato (ma sono state poche) le occasioni in cui me la sono lasciata completamente sfuggire.
Negli ultimi anni ho messo in piedi un’organizzazione che mi appassiona e che emula un po’ chi Sanremo lo segue per lavoro, anche se io lo faccio per puro scopo ludico (e per un pizzico di personal branding).
È ovvio, per me, che nella bolla social in cui mi sono messo, non veda e non legga altro per giorni nei miei feed: gli algoritmi, per compiacermi, mi mostrano quei contenuti che sanno essere di maggiore impatto per me.
Ovviamente con i social ciascuno è messo in grado di essere un critico, un esperto, un giornalista, un comunicatore, un detrattore, un radical chic… e ognuno recita il suo ruolo come può e come vuole.
A maggior ragione, in un anno in cui Instagram diventa la seconda piattaforma, dopo Rai Radio2, dove seguire il Festival, il dato che si registra è completamente diverso dal passato (anche recente).
Attuare dei confronti con i Sanremo dei (primi) anni Novanta rischia di essere faticoso e inutile.
La bravura di Amadeus è stata anche questa: da conoscitore del mondo musicale, da intrattenitore professionista e con notevoli capacità di osservare e tradurre la società in cui viviamo, ha trasformato il prodotto in uno spettacolo a tutto tondo, riuscendo a coinvolgere più generazioni.
Lo ha detto anche sabato mattina in conferenza stampa: “La cultura deve essere popolare. Bisogna usare la luce di Sanremo per illuminare argomenti sociali e culturali che arrivano a tutti, comprensibili a tutti e con i tempi di un evento tv”.
Il Festivàl (come recitava Mike) è un evento nazional popolare, che, come tale, scontenta gli intellettuali ma che vuole arrivare a più target.
Occupandomi di marketing so bene che arrivare a tutti significa non arrivare a nessuno, ma in questo caso il Direttore Artistico Amedeo Umberto Sebastiani (classe ’62) ha cercato il modo per tradurre un evento in cui perbenisti e generazioni di baby boomers trovavano una perfetta collocazione.
Musica leggera, spesso molto commerciale … tanto che si parlava di “canzone tipica sanremese” con cuore, amore tra le parole più citate.
Oggi il concetto è stato (per me definitivamente) sdoganato.
Quando viene fatto l’annuncio degli artisti sono molteplici i commenti di chi non sa manco chi sia chi vedrà su quel palco.
Vi ricordate gli anni bui in cui i cosiddetti big (tranne Albano e pochi altri) schifavano/scappavano da Sanremo? Ci sorbivamo per forza ragazzi e ragazze (talvolta meteore, talvolta no) usciti dai “talent”.
Rinfresco la memoria citando Valerio Scanu o Marco Carta.
Attenzione a generalizzare perché l’annunciato e (meritato) vincitore di oggi (ieri) proviene da uno di questi vituperati talent. E chi sta vendendo milioni di dischi nel mondo (Maneskin) pure.
Torniamo all’appeal della kermesse per cantanti e autori nostrani.
Oggi c’è questa attrattività: Amadeus ha confezionato un prodotto multi-generazionale e che macina risultati televisivi, commerciali e discografici.
Parliamo del pubblico in sala?
Anni fa non si alzava in piedi nemmeno per chi avrebbe dovuto, freddezza generale, tanto che Baudo si doveva inventare la qualunque per smuovere l’ambiente.
Qualche fischio talvolta, ma un’aurea di perbenismo aleggiava, tanto che non si poteva turbare l’ambiente e che facevano rumors le parolacce o sembrava che un brano che non avesse quel testo (soggetto a censura) o quel ritmo non fosse adeguato e fuori contesto.
Ricordo edizioni nelle quali non ricordo una canzone che sia una, tranne quella che vinse.
E grazie a questa nomea i professoroni di altri generi musicali hanno sempre “perculato” noi assidui telespettatori del Festival, che guardavamo uno spettacolo che si definiva musicale ma che discograficamente parlando era pessimo, oltre che tecnicamente e stilisticamente (tanto per esagerare con gli avverbi).
Mi ricordo che con gli amici più rocker avevo l’imbarazzo di ammettere che guardavo Sanremo, seppure con loro ascoltassi (con enorme piacere e passione) gli U2, Zucchero, Vasco, i Green Day, i Pearl Jam, Nirvana, Queen, Liga … adorandoli, ma che seguivo anche Giorgia, Zarrillo e Mia Martini.
Oggi il palco raccoglie vari generi (quest’anno il rock assente in gara a dire la verità, le proposte arrivate non hanno convinto Amadeus, cit), vari stili che coinvolgono più generazioni.
Non solo super-ospiti da milioni di dischi per compiacere qualche ragazzino/a, ma in gara la musica e le facce che i ragazzi conoscono e apprezzano.
Poi possiamo discutere le performance e il talento o meno, l’intonazione (in effetti come ha detto giustamente Tizio in chat: sarebbe una gara di cantanti), se la canzone arriva o no, ma non voglio arrivare lì seppure sottolineo quanto Marco Mengoni non abbia sbagliato nulla in tutte le performance sul palco.
Ma ho letto frasi del tipo “alla faccia delle stonature o dell’auto-tune dei ragazzini” e forse le ho pensate pure io, ma il rischio che corriamo è di farci venire la puzza sotto il naso.
La musica è emozione. A me ha emozionato Grignani, ha dato qualcosa Mr Rain … ecco adesso condannatemi, massacratemi ma è così.
Ciò che piace a me, non piace a te.
E non ho ragione io o tu.
Poi se tecnicamente disquisiamo hai ragione tu, magari, ma Sanremo non è questo.
Non puoi decidere tu quando io debba avere la pelle d’oca o quando me la senta di aprire bocca per cantare qualcosa.
Dopo l’aspetto musicale, arriviamo allo spettacolo.
Il meccanismo di voto si può discutere, ma le previsioni che davano Mengoni a rischio a causa del televoto non sono state azzeccate.
C’erano Lazza e Tananai nella Top5, mi direte.
Ok ma ho percepito su di loro apprezzamenti non solo tra la gente dei social.
Apro una parentesi: quando la smetteremo di definirla la gggente dei social, il popolo di Internet come fanno i TG smetterò io di indignarmi. Grazie.
Torniamo al capitolo spettacolo.
Troppo lungo, sì. 28 canzoni in gara sono davvero troppe.
Ma i numeri danno ragione ad Amadeus… chi vince ha ragione (come nello sport). Quindi… c’è poco da aggiungere.
Spettacolo davvero bello per molti blocchi, forzato in altri, ma ricordo davvero scene pietose del passato (anche recente) che con Amadeus si sono ridotte drasticamente: la carne al fuoco è tantissima.
Arrivo ai giudizi.
Presentatori e Direzione Artistica: le pagelle
Gianni Morandi è stato mattatore a tutto campo, strepitoso in tutte le vesti. Si merita 9,5
Ad Amadeus do 10- (il meno è per le ore di sonno che ci ha fatto perdere, ma sul resto difficile per me criticarlo alla luce di tutte le parole che sto spendendo e che ho speso, il bello è che non ci guadagno nulla)
Chiara Ferragni 7,5 (Instagram non è una Università ma lei è un brand, un marchio ed inviterei detrattori e compagnia ad esplorare il mondo del digital marketing, di guardare non la serie Ferragnez ma il docu film su di lei per capire la sua professione. L’ho vista meglio durante la prima serata, ieri no, scommessa vinta anche se concordo che non fosse quel palco la sua dimensione, ma lo sapeva lei, lo sapeva Ama e lo sapevamo tutti)
Chiara Francini 9-
Paola Egonu 8
Francesca Fagnani 9
Sulla classifica finale (torniamo alla musica, più o meno) ieri sera qualcosa ho detto ma aggiungo che non so quanta misoginia ci sia in ciascuna delle persone che ha votato, ma ribadisco quello che mi ero permesso di rispondere qualche giorno fa (non voglio fare le autocitazioni come quest’anno per le cover i cantanti): “ci sono addetti ai lavori che votano e non addetti ai lavori che votano, ragazzi e ragazze che non hanno una cultura musicale e persone che invece magari l’hanno e che esercitano i proprio gusti. Anni fa rimanevo schifato e indignato. Oggi non mi capita più. Le classifiche non accontentano nessuno, paradossalmente quando do i voti io poi riguardo il tutto … non mi capisco.”
Certo, l’ultima donna sul palco a vincere un premio è stata Arisa nel 2014 e (come appuntava giustamente qualcun altro) Victoria De Angelis dei Maneskin.
Bello il gesto di Mengoni che, ritirando il premio ieri sera, ha ricordato le colleghe artiste in gara e quest’oggi lo ha dedicato alla mamma.
Il bello per gli artisti inizia davvero ora: quanti e quali canzoni canteremo domani, quali questa estate saranno con noi sotto l’ombrellone?
Format, cover e monologhi
Sanremo a tutto campo: spettacoli negli spettacoli.
All’Ariston, ma anche in altre location della cittadina della riviera, oltre che online.
Ore e ore di clip, meme, contenuti.
Ampliamento di platea, a tutto tondo.
Ho sentito critiche sulla serata cover, dove i protagonisti portavano sé stessi e non altri.
A di là di tutto ciò (ci stanno queste osservazioni, ci mancherebbe) se ripenso alle emozioni che Eros, Elisa, Edoardo Bennato ed Arisa ci hanno regalato, le polemiche passano in secondo piano.
Altro stuolo di commenti di tutti i tipi sui monologhi del Festival.
Banali o bellissimi che siano stati, hanno fatto parlare.
Le tematiche non erano affatto banali e ciascuno le ha affrontate a suo modo.
Un’azienda, una sportiva, una giornalista ed un’attrice.
Fedez si è preso le copertine per la performance in esterna, per la partecipazione alla serata cover, alle esternazioni durante la sua permanenza a Sanremo e persino ieri con il “bacio al limone” con Rosa Chemical.
Ho trovato stucchevoli le polemiche da parte di giornalisti ed esponenti partitici che interferiscono su un luogo di costume e di televisione, ci sono sempre state, ma oltremodo nel 2023 le trovo proprio assurde.
Se ancora fa scandalo parlare di diritti, pace, uguaglianza, non violenza vuol dire che siamo un paese in difficoltà su molti versanti e che serva un Festival per discuterne lo trovo un problema della società, non del Festival.
Da parte mia che ci sia stato il Presidente della Repubblica, che si sia parlato di Costituzione, di Iran e di conflitti in essere non mi ha disturbato.
Torno al concetto di cui sopra e che lo stesso Amadeus ha ripetuto e che anche io, in chiacchiera, mi sono permesso di ribadire con più persone.
Di fronte ad una platea plurima, credo non ci sia bisogno di filosofi e poeti, ma se persone con un seguito ed una visibilità si espongono su un tema che può far riflettere, non ci vedo negatività.
Poi soggettivamente si discute sulla forma, oltre che sul contenuto.
Il linguaggio semplice non è per gli stupidi e non è indispensabile parlare come l’Accademia della Crusca insegna.
Se serve la retorica anche solo per far riflettere una persona in più su certi concetti, ben venga!