La diffusione di fake news e bufale è un allarme sociale e politico che anche nel nostro Paese si sta rivelando dirimente e sul quale si sta discutendo. Ecco come la penso.

David Duente e Paolo Attivissimo hanno pubblicato nel Dicembre 2016 una interessantissima inchiesta scoprendo chi si cela dietro alcuni siti che fanno disinformazione svelando il meccanismo che sta dietro questo network.

Il fenomeno è sulla bocca di tanti oggi.

Persino Google e Facebook stanno correndo ai ripari.

Ecco cosa ne pensa una parte del mondo delle istituzioni:

Internet è stata, e continua a essere, una grande rivoluzione democratica, che va preservata e difesa da chi vorrebbe trasformarla in un ring permanente, dove verità e falsificazione finiscono per confondersi.” (Sergio Mattarella)

Facebook non può essere più considerato un semplice veicolo di contenuti” (Andrea Orlando, ai tempi Ministro della Giustizia)

Anche se è assai difficile stabilire se le fake news abbiano influenzato recenti consultazioni popolari in varie parti del mondo, è però arduo sostenere che la diffusione di notizie false sia un bene per la democrazia. Le bugie in Rete non sono un bene per la libertà di informazione, che ha sempre due volti. Da un lato c’è il diritto di informare ma, dall’altro lato, c’è il diritto ad essere informati correttamente e a non essere ingannati.“ (Giovanni Pitruzzella, presidente Antitrust)

I milioni di cittadini che tutti i giorni usano Facebook o Youtube sanno benissimo come funzionano Facebook o Youtube e non credo accetterebbero l’idea che qualcuno preventivamente decidesse cosa pubblicare e cosa censurare”. (Antonello Giacomelli, già sottosegretario alle Comunicazioni)

Ho concentrato il mio impegno nella battaglia contro il discorso di odio, la disinformazione e le bufale. È ormai evidente che si tratta di problemi da affrontare con urgenza, tanto a livello nazionale che mondiale“. (Laura Boldrini)

E c’è chi (al contrario dei demonizzatori del web più tradizionali, soliti additare i social come responsabile dei mali del mondo) addirittura ha incolpato i media tradizionali.

I giornali e i tg sono i primi fabbricatori di notizie false nel Paese con lo scopo di far mantenere il potere a chi lo detiene. Sono le loro notizie che devono essere controllate. Propongo non un tribunale governativo, ma una giuria popolare che determini la veridicità delle notizie pubblicate dai media. Cittadini scelti a sorte a cui vengono sottoposti gli articoli dei giornali e i servizi dei telegiornali. Se una notizia viene dichiarata falsa il direttore della testata, a capo chino, deve fare pubbliche scuse e riportare la versione corretta dandole la massima evidenza in apertura del telegiornale o in prima pagina se cartaceo. Così forse abbandoneremo il 77° posto nella classifica mondiale per la libertà di stampa.” (Beppe Grillo)

A queste illazioni (accuse) non sono mancate le reazioni del mondo del giornalismo e delle istituzioni:

L’Ordine nazionale dei Giornalisti ricorda che esiste già un ordinamento che tutela chi si ritiene danneggiato dagli organi di informazione. Inoltre l’OdG rammenta che giace in quarta lettura dal 23 giugno 2015 in Senato la nuova legge sulla diffamazione. […] L’unico Tribunale riconosciuto dall’OdG è quello dell’ordinamento giudiziario ferma restando la singola responsabilità dei giornalisti che non rispettano le regole deontologiche e che vengono sanzionati dai Consigli di Disciplina.” (Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti)

Ma il fenomeno bufale e notizie fake non esiste solo da oggi.

Di questi tempi il problema è (banalmente) amplificato.

Il 4 Dicembre 2016 il New York Times ha pubblicato un interessante articolo che ricorda come “in passato, i governi, le istituzioni tradizionali e giornali manipolato notizie e informazioni. Oggi, chiunque abbia un account Facebook può farlo. Al posto della notizia falsa accuratamente organizzata di un tempo, vi è ora un deflusso anarchico di bugie. Ciò che è cambiato è che i gatekeepers di notizie hanno perso il loro potere

Sono tra chi rivendica la libertà di informazione e la libera espressione (qui l’ho voluto dire chiaramente ed argomentare) come principi base di democrazia, ma è altrettanto vero che si debbano creare degli anticorpi.
Fermo restando che esiste un codice deontologico giornalistico a cui tutti gli esercitanti tale professione debbono attenersi e che esiste un Ordine professionale che sovrintende sono altrettanto convinto che debba aumentare la consapevolezza del lettore e si debba applicare un metodo di verifica di ciò che si sta leggendo.

Rudy Bandiera qui lo spiega molto bene e penso che sia bene formare le coscienze degli utenti aiutandoli a comprendere.

Il popolo bue è una definizione (usata se non erro da Mussolini nel 1925) che spesso viene ripresa ma che ogni volta mi fa rabbrividire.

Io non mi voglio rassegnare al fatto che l’opinione pubblica possa essere facilmente condizionata.
Giovanna Cosenza in un post del 2011 cita il fatto che “le persone credono di più a ciò che hanno già sentito ripetere più volte. Alcuni studi hanno addirittura verificato quante volte un messaggio debba essere ripetuto per ottenere la massima credibilità: non troppe – pare fra le 3 e le 5 – perché altrimenti si corre il rischio di ottenere l’effetto contrario (vedi The Illusion of Truth).

Ecco perché punto sull’autodeterminazione degli utenti e sulla loro consapevolezza (da formare).

Siccome dotarsi di censori sarebbe come limitare la libertà di informazione è altrettanto vero che il web è difficile da fermare. E poi questi censori dovrebbero censurare cosa? Si aprirebbe un problema enorme di soggettività e di valutazioni che scadrebbero nell’ideologico.

E siamo sicuri che poi i cittadini avrebbero capacità corrette di giudizio?

Il problema sta nel svolgere in modo etico una professione e dall’altra parte nell’essere quel minimo preparati ad annusare quando si è in presenza o meno di bufale.

Ho fiducia che tutto ciò sia possibile.

(Credits fotografico: fonte newyorker.com)