Influencer: di chi stiamo parlando?

C’è una categoria all’interno del mondo del lavoro, che divide in maniera netta l’opinione pubblica.

I cosiddetti “influencer”.

Influencer: individui con un più o meno ampio seguito di pubblico che hanno la capacità di influenzare i comportamenti di acquisto dei consumatori in ragione del loro carisma e della loro autorevolezza rispetto a determinate tematiche o aree di interesse (Glossario Marketing)

Influencer marketing: guardiamo un po’ di dati

I dati forniti da Zine sugli influencer nel mondo, e pubblicati su eMarketer, riportano che quasi l’80% di essi utilizza Instagram per le azioni di influencer marketing.

Fonte: emarketer

Negli Stati uniti il social fotografico ormai di casa Zuckerberg è utilizzato dal 70% delle aziende.

Dal 2015 al 2017 è stato registrato un incremento di post pubblicati da influencer su Instagram, facendo incrementare ancora di più il numero di “mi piace”, in media 682 per post. (Fonte: emarketer)

Un’inchiesta di Bloglovin’ evidenzia come ben il 54% delle intervistate afferma di aver acquistato un prodotto grazie alla raccomandazione di un influencer; il 45%, inoltre, ha iniziato a seguire un brand proprio perché lo ha visto o scoperto grazie al post di un influencer. Ma se non c’è coerenza tra il personaggio e il prodotto o servizio menzionato, il messaggio rischia di risultare fastidioso e suona quasi come un tradimento (e il 59% delle intervistate afferma di essere in grado di accorgersene).

Secondo lo studio The State of the Influencer Marketing di Klear, nel 2017 sono stati pubblicati ufficialmente un milione e mezzo di post, due volte quelli dell’anno precedente. In un anno il business è cresciuto del 198% , e moda e beauty sono le industrie che vi investono di più (Fonte: Il Sole 24 Ore).

GQ Italia ha pubblicato la classifica dei 10 influencer più potenti del 2018, grazie ai dati di NewsWhip aggiornati a metà Marzo del 2018.

DeabyDay ha presentato la top 10 degli influencer in Italia, aggiornata al 2020.

Perché accade tutto ciò

Chi lavora nel mondo della pubblicità da tempo potrà sicuramente dirci che tutti noi siamo più portati ad acquistare un prodotto (o un servizio) quando ce lo consiglia qualcuno che conosciamo. In fondo il passaparola è ancora il re incontrastato nel mondo del marketing, non vi pare?

È per questo che da tempo le aziende tendono ad associare i loro marchi ai volti familiari di V.i.p o cosiddette star televisive, musicali, sportive o del cinema.

Ed è probabilmente per questo motivo che oggi le stesse aziende spendono una parte sempre più consistente dei loro budget pubblicitari nel cosiddetto influencer marketing?

Io credo di sì.

Ma tutto questo funziona?

Sembra di sì visti i budget spesi e i dati raccolti.
Da qualche tempo questi personaggi influenti devono associare la loro promozione con un hashtag che identifichi che quello che stanno facendo è lavoro retribuito.
Tuttavia gli studi non parlano di crolli a causa di questa operazione che ha portato un po’ più di trasparenza.

Ragioniamo insieme.
I social network non sono altro che locali frequentati da persone comuni con passioni, interessi e gusti specifici.
I social profilano i loro iscritti per vendere spazi pubblicitari.
Non lo scopriamo adesso.
Quindi frequentando un social assiduamente saremo sollecitati da contenuti che siano presumibilmente in target con i nostri gusti ed interessi (misurati dalle strutture tecniche degli stessi social in tempo reale).

In fondo per passare tempo a fare qualche attività di nostro gradimento c’è bisogno di gratificazione (il compiacimento altrui), la curiosità un po’ morbosa di spiare gli altri e magari entrare in contatto (o pseudo-tale) con persone che reputiamo interessanti.

Con i social possiamo vedere e ascoltare cosa le persone dicono e fanno quotidianamente.

Un appassionato di sport vede il suo campione, chi ama la moda può seguire marchi o modelli/e e via andare…

Cosa accade se chi seguiamo ci propone dei prodotti? Beh saremo tentati di apprezzarne comunque il contenuto.

Mettereste più volentieri il like ad una nota marca di scarpe o all’adorato sportivo/a che le indossa?

Gli apprezzamenti ed i commenti cosa fanno?
Fanno propagare a dismisura i contenuti.

Ci troveremo tutti ad essere inconsapevoli pubblicitari o (meglio) portatori di interesse di quel marchio.
Saremo noi stessi a fare pubblicità, oltre che essere potenziali acquirenti.

Apprezziamo e crediamo di più ai contenuti che ci vengono proposti da persone per noi interessanti.

La logica influencer è questa.

Si basa su meccanismi a cui aderiamo essendo frequentatori dei social.

I più puri e sostenitori della loro libertà intellettuale diranno che i creduloni sono tutti quei “pecoroni” che seguono la Ferragni o Mariano Di Vaio e si sentiranno esenti da tutto ciò, quasi come se fossero vaccinati.

Eppure ai meccanismi su cui si basa l’influencer marketing siamo tutti soggetti, più o meno consapevolmente.

Magari non lo crediamo, ma in qualche campo anche noi abbiamo influenza.
D’altronde il principio delle bufale che circolano in rete non si basa proprio su questo concetto? Pensateci.

Ma siamo tutti così fessi? E funziona sempre e per tutti i casi?

Attenzione, non generalizziamo.

Il meccanismo, o meglio la strategia dell’influencer marketing funziona, ma va data molta attenzione alla coerenza con cui essa viene applicata.
Se Chiara Ferragni promuovesse un pneumatico antineve sarebbe credibile?
Inoltre, tornando al social Instagram, dove il tutto sembra avere successo, bisogna fare attenzione ai bot e ai fake da cui siamo attorniati.
E’ poi possibile scovare anche tanti spacciatori di influenza ma che in realtà ci possono vendere solamente tanto fumo…

Quindi, facciamo sempre attenzione. rendiamoci consapevoli di quel che accade e agiamo di conseguenza sia nelle nostre strategie di business sia quando siamo semplici utenti finali.