Significato di autoreferenzialità
La Treccani definisce autoreferenza come la “proprietà che avrebbero alcuni sistemi di riferirsi a sé stessi, cioè di determinare i propri stati internamente, mediante un processo di interazione circolare tra gli elementi che li costituiscono e in modo essenzialmente indipendente dall’ambiente esterno.”
Si considera quindi autoreferenziale chi parla bene di sé ed esalta le proprie doti, ad esempio.
Un vizio comune, che esiste da tempo e che può essere amplificato grazie ai tanti strumenti di comunicazione che si hanno a disposizione.
Parto con il mio ragionamento da qui.
Prova a pensare alla pubblicità per cominciare.
C’era una volta il Carosello…
“La maggior parte della pubblicità non fa tanto appello alla ragione quanto all’emozione.” (Erich Fromm)
Nel 1957 nasce il Carosello: un seguitissimo spettacolo di due minuti in cui con delle scenette si alludeva ad un prodotto per poi citarlo esplicitamente solo nei quindici secondi finali del programma.
Il consumismo e l’avvento delle TV private hanno poi cambiato lo scenario, tuttavia è proseguito il coinvolgimento di personaggi pubblici e l’offerta sempre crescente hanno determinato il modello pubblicitario televisivo del secolo scorso.
Oggi gli investimenti pubblicitari classici calano, perchè i modelli sono cambiati, appunto.
E’ cambiata la fruizione dell’intrattenimento: la TV ha perso il suo dominio per una buona fetta di popolazione.
L’autoreferenzialità nella pubblicità
I mass media, secondo il sociologo McLuhan “non sono neutrali: la loro stessa struttura produce infatti un’influenza sui destinatari del messaggio, che va al di là del contenuto specifico che veicolano.”
A seconda del medium quindi si potrebbe (e dovrebbe) adattare un diverso messaggio/contenuto.
Se la forma del contenuto nel tempo si è modificata, il concetto di autoreferenzialità si è sostanzialmente mantenuto.
Poi le eccezioni non mancano, ma non puntiamo il dito su quelle.
Tutti odiano la pubblicità
Alzi la mano chi (tornando a prima dell’avvento della pay tv) seduto sul divano non ha mai fatto zapping saltando lo spot di turno durante il film.
Alzi la mano chi non detesta la pubblicità a parole.
Quanto risulta invasiva quella finestra automatica sul browser non richiesta?
Oggi esistono degli escamotage per evitare fastidiose interruzioni (ad block) anche se questo deve far riflettere molto il mondo dei pubblicitari.
Interessanti le conclusioni a cui arriva Rudy Bandiera “La pubblicità tradizionale, come la conosciamo, sta agonizzando la pubblicità intesa come comunicazione di massa usata dalle imprese per creare consenso intorno alla propria immagine, con l’obiettivo di conseguire i propri obiettivi di marketing, non morirà mai. Cambia forma, e forse è ora che tutti ce ne rendiamo conto.”
“Le persone non comprano prodotti e servizi, ma relazioni, storie e magia.” (Seth Godin)
Se è l’impatto emotivo ad essere determinante per determinare il successo o meno di un contenuto promozionale, lo è anche il modo in cui lo trasmettiamo.
FACCIAMO UN ESPERIMENTO?
Ti ricordi questi spot?
Prova a chiederti perché te li ricordi?
Basta che con la mente pensi ad una di quelle immagini per ricordare il prodotto.
Vogliamo spingerci oltre?
Parlarsi addosso non convince
Torniamo a noi, alla riflessione sulla autoreferenzialità.
Abbiamo visto come i modelli pubblicitari ci abbiano quasi convinti che si debba agire come in uno spot in prima serata per avere successo.
Per dimostrare proprio il contrario, facciamo un altro esperimento utilizzando un social qualunque, ad esempio Facebook.
Hai un prodotto da promuovere?
Crea due post: in uno usa al massimo l’autoreferenzialità (come un media tradizionale) e veicola un volantino o un messaggio che faccia il focus su di te, o sulle tue capacità o sulla bellezza del tuo prodotto.
Poi crea un altro post, in cui parli direttamente al tuo interlocutore dei vantaggi che trarrebbe ad usare un prodotto come il tuo oppure racconta la tua esperienza frustrante prima di conoscere quel prodotto …provando a farti ricordare utilizzando i canali emozionali.
A questo punto misura i risultati (organici) dei due post.
Non credo che tu a questo punto abbia venduto qualcosa, perché (anche nel secondo caso) mancano alcuni elementi, tra cui la fiducia che ti devi conquistare, ma prova solamente a capire quale dei due contenuti ha lavorato meglio.
Perché succede questo?
Stiamo lontani da chi si loda
Quanto detestiamo le persone che “sanno tutto loro” o che ci vogliono convincere di quanto sono brave?
Non ne stiamo forse alla larga?
Chi si loda si imbroda (detto popolare)
Proviamo a pensare a noi stessi come questi personaggi (che tanto detestiamo) quando ci ostiniamo ad intasare il web con messaggi che sono spesso ignorati, passando poi ore a chiederci il perché dell’insuccesso.
Il perchè sta nell’autoreferenzialità di quel messaggio. Pensiamo a noi e non al nostro interlocutore e questo modello non funziona (a meno di chiamarci Prada, Ferrero eccetera…).
Il contenuto giusto, allora, qual è?
A conclusione di questa riflessione ci facciamo guidare da Riccardo Scandellari che descrive molto bene la questione.
“Il contenuto è un prodotto da commercializzare. Lo tengano ben presente le aziende e chi cerca facile promozione. Nel mondo della comunicazione attuale non è tempo di arrivare diretti. Serve infondere consapevolezza e fiducia, prima di ottenere una vendita.”